Nella storia del pensiero occidentale interrogarsi su cosa fosse l’uomo voleva dire chiedersi ciò che facesse si che fosse tale. In altri termini chiedersi quale fosse l’essenza dell’uomo.
Nelle varie epoche della filosofia questa questione trovava risposta in mille modalità diverse, legate sempre alla cultura del tempo. Il pensiero è sempre figlio della propria cultura, del concreto imprimersi del proprio tempo e della propria tradizione.
Possiamo infatti considerare il pensiero come la ricerca di una risposta ad una domanda: a qualsiasi tipo di domanda: la risposta ad un perché. Un perché che non è mai generico, ma sempre impostato da una struttura di ricerca che dà senso alla domanda.
Alle volte è anche domandarsi come funzioni il pensiero, cos’è il pensiero.
Ogni problematica a cui si cerca di dare un senso è legata ad una situazione: la situazione storica di chi si pone la domanda. Ricercare una verità universale che valga come risposta ultima e condizione di possibilità di risposta alla domanda, è stata ed è la sfida più grande che il pensiero possa porsi.
Chiedersi pertanto cosa sia l’uomo vuol dire porre al centro della domanda, e del circolo della ricerca, l’uomo s tesso. Ma qui il caso è molto particolare.
Se per esempio mi chiedo il perché 2 + 2 faccia quattro, l’oggetto della domanda è diverso da chi si pone la domanda. Il pensiero matematico, logico, per esempio, è un circolo interrogativo il cui senso (ciò che da una definizione reale alla possibile risposta) è al di fuori (è altro) da chi si pone la domanda.
Interrogarsi sull’uomo e su cosa esso sia, interrogarsi sul senso dell’uomo, rende colui che si pone la domanda l’oggetto di ricerca stesso che da senso alla risposta. E’ l’uomo che si pone la domanda su cosa sia l’uomo. Il senso di tale risposta è pertanto dentro chi si interroga.
In primo luogo l’uomo è al sua storia, è storicità, è il risultato di una cultura. La domanda sul senso dell’uomo trova così concretezza nella dimensione di chi si interroga e sulla sua storicità. In altri termini il detto “Ognuno è figlio del suo tempo” vuol proprio dire questo.
Quindi, da dove possiamo partire sull’interrogativo sull’uomo? Dal semplice fatto che l’uomo è, esiste, la cui esistenza è fondamentale per l’uomo.
Ma l’esistenza è un concetto generico, astratto nella sua dimensione puramente logica. Esistere vuol dire poter essere qualcosa: è la condizione di possibilità per l’uomo di essere.
Cosa può essere pertanto l’uomo? L’uomo è un’esistenza con altre esistenze. La prima e più ovvia considerazione è proprio questo: che l’uomo è un essere con altro e con altri. L’uomo è un uno che è diverso e che instaura rapporti con altro e con altri.
Lo è sempre stato un essere con altri, fin a partire dalla più semplice delle condizioni di esistenza: la famiglia.
Fermiamoci su questo concetto per ora: l’uomo è in primis famiglia, e famiglia vuol dire il primo dei rapporti che l’uomo instaura con ciò che è diverso da sé. Rapporti che sono fondamentali in tutte le dimensioni dell’essere dell’uomo: anche nella propria istintività e affettività.
L’uomo è affettività: è capacità di instaurare rapporti che hanno il proprio senso nella dimensione generale dell’affettività. La famiglia è la prima dimensione dell’affettività. L’uomo non può non essere affettività (condizione di possibilità del rapporto fra il proprio sé e l’altro) e la famiglia è condizione essenziale dell’essere dell’uomo: la prima e forgiante dimensione del senso dell’uomo.
Togliere questa dimensione all’uomo è impossibile: non può essere diverso da questo: sarebbe una mancanza, e pertanto una dimensione negativa.
Siete riusciti ad arrivare fino a questo senza addormentarvi? Avete avuto il coraggio di proseguire sino a queste righe? Bene, complimenti per il coraggio.
E’ Natale ora, proprio la festa che ha come senso principale laico l’unità della famiglia. Visto che la dimensione dell’affettività è l’essenziale dell’uomo e la famiglia è il primo aspetto in cui questa dimensione si sviluppa, festeggiare il Natale e la famiglia vuol dire vivere questa dimensione essenziale all’uomo.
Ci sono vari aspetti che possono caratterizzare questa dimensione, ma non interessa adesso questo piccolo excursus.
Vuol dire però che negarsi questa dimensione è negarsi a se stessi, negare il proprio primo essere uomo. Non si è fatti per stare da soli: si è dimensione relazionale in quanto dimensione affettiva.
Il Natale vuol dire stare insieme e sentire il calore della proprio essenza di uomo. Non dimentichiamocelo mai, soprattutto ora: l’uomo non è fatto per stare da solo.
Non tutti hanno la fortuna di vivere questa dimensione. Se noi ce l’abbiamo ricordiamoci che siamo fortunati, perché rimaniamo legati a ciò che ci caratterizza come prima cosa.
Il Natale non è solitudine: è proprio il ricordarsi della prima dimensione che fa si che l’uomo sia tale.
E’ il ribadire l’essenza stessa dell’uomo.
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